Scopri di avere un tumore a 18 anni e quasi non ci credi. Poi ti metti in marcia e inizi a scalare la montagna.
La prima operazione per rimuovere il tumore nel 2014. A Pasqua 2016 una nuova caduta. una recidiva ed una nuova operazione. Ma le sorprese evidentemente non dovevano finire e un mese dopo l’infezione: sei mesi di antibiotico ad infusione continua 24 ore al giorno senza poter sospendere mai. Quando tutto sembra essere andato per il meglio ancora una ricaduta, solo dopo un mese dal termine della terapia antibiotica, la ripresa dell’infezione e la scoperta di una seconda recidiva. Improvvisamente il tratto più impervio della salita: la decisione, razionale a tavolino di amputare. Paura, ricerca disperata di vie di fuga, alti e bassi, pensieri accavallati, poi improvvisa la decisione, tutto si fa chiaro: non può rischiare di lasciare in giro il mostro, di farlo arrivare dove fino ad ora non è arrivato. Decide per l’amputazione. Una disarticolazione dell’anca.
Eppure questi tre anni, passati in questo modo, sono stati gli anni più belli della sua vita, perché gli hanno dato molto più di quanto mi possano aver tolto. Perché oggi ha una vita con un senso più profondo, riesce grazie alla malattia a vivere a pieno ogni istante del presente, vivendo la vita qui e ora. La malattia ha fatto apprezzare ogni aspetto della vita quotidiana e questo percorso ha fatto scoprire passioni mai esplorate: l’amore per la cultura indispensabile anche per conoscere se stessi e ciò che ci ruota intorno, l’amore per la lettura e la scrittura, grazie per la quale è nato un libro (Non Siamo Immuni), la passione civile e l’amore per la musica. Ma con l’amputazione che poteva sembrare la fine di tutto, un limite insormontabile, invece è rifiorita la voglia di ricominciare a fare sport. Prima della malattia aveva fatto per ben dieci anni equitazione a livello agonistico. Non poteva restare fermo, non poteva arrendersi su un divano; in alcuni casi lo sport oltre ad essere vita è una condizione mentale, si è agonisti dentro. E così come fu per l’equitazione, all’improvviso decise per il canottaggio.
“Ma la cosa sorprendente, la magia dello sport, la meraviglia dell’attività fisica, è in questa strana equazione: io non faccio canottaggio malgrado l’amputazione o nonostante una gamba in meno, ma al contrario lo faccio proprio grazie a questa mia condizione fisica. Perché è stato tutto ciò a ridarmi gli stimoli necessari per ricominciare un percorso che prima sembrava concluso“.
Ed ecco che torna la magia dello sport, quell’elemento che ti da’ la prova tangibile che non c’è siepe senza infinito e non c’è infinito senza siepe. Cioè da un limite può nasce qualcosa di più importante, duraturo e costante nel tempo, l’importante è riuscire a vedere la bellezza in tutto ciò, con una mentalità positiva. Vedere non quello che non hai ma ciò che hai. Lo sport è una condizione mentale è uno stato d’animo che ti consente di superare le difficoltà, ti allena a ripartire e a non arrenderti mai. Per Giacomo lo sport è stato ed è una palestra di vita. Ti insegna che la vita non è tutta rosa e fiori come ci illudiamo che sia, ma esistono anche momenti in cui cadiamo, in cui ci sentiamo fragili oppure in cui abbiamo paura. Ma questi momenti non rappresentano la fine della nostra vita ma solo una tappa che ci fa crescere e maturare. Quando cadiamo dalla barca durante un allenamento non è che molliamo tutto e lasciamo perdere alla prima difficoltà, ma ci rialziamo e cerchiamo di capire dove abbiamo sbagliato e cosa dobbiamo migliorare. E come sempre le cose belle, quelle che ti danno soddisfazione si ottengono con il sudore, tra mille difficoltà. Ma poi i risultati arrivano. La dimostrazione che nella vita se si vuole arrivare (anche se non si arriva mai) bisogna percorrere la strada che non ha scorciatoie perché non portano a nulla, bisogna invece percorrere ogni tappa perché ogni tappa servirà a formare a 360* gradi, soprattutto nei momenti difficili perché sono proprio quest’ultimi che determinano l’uomo e la donna che siamo o che diventeremo .
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