Conosciamo meglio i protagonisti della XXV edizione del Premio Internazionale Fair Play – Menarini.
Matteo Marconcini (nata il 26 agosto 1989 ad Arezzo), è un ex judoka ed allenatore di judo italiano, formatosi sportivamente nella sua città natale e, successivamente, entrato a far parte del Centro Sportivo Carabinieri. Noto per aver rappresentato l’Italia ai Giochi di Rio del 2016 classificandosi al 4° posto, Marconcini ha conquistato, ai Mondiali di judo del 2017, la medaglia d’argento riportando in Italia un risultato che mancava da ben 12 anni. Ritiratosi dall’attività agonistica nel 2021, è oggi allenatore aggiunto nel Centro Sportivo Carabinieri. La sua carriera e il suo entusiasmo nel trasferire la propria esperienza alle nuove generazioni gli sono valsi il riconoscimento nella categoria “Promozione dello sport”.
Cresciuto sportivamente nella società Judo OK Arezzo, allenato da Roberto Busia, nel 2008 Marconcini vince il concorso per titolo che gli consente di accedere al Centro Sportivo Carabinieri dove viene seguito da quel Luigi Guido che aveva rappresentato l’Italia a Barcellona nel 1992, ai Giochi di Atlanta del 1996 e alle Olimpiadi di Sidney nel 2000. Il suo percorso agonistico lo porta dritto alle Olimpiadi di Rio, nel 2016, dove perde in finale l’incontro per la medaglia di bronzo nella categoria 81 Kg. L’argento lo conquista, invece, a Budapest, durante i Mondiali del 2017: un traguardo storico che riporta in suolo italiano, dopo ben 12 anni, il titolo di vicecampione mondiale di judo. La sua carriera agonistica termina il 21 aprile 2021, quando all’età di 31 anni, Marconcini annuncia il suo ritiro per diventare allenatore aggiunto nello stesso Centro Sportivo Carabinieri, e candidarsi alla Commissione Atleti dell’IJF.
“Ogni atleta che ha vinto qualcosina vorrebbe restare agonista per tutta la vita, proprio perché gli piace vincere, e quella sensazione vorrebbe che fosse sempre presente – dichiara il judoka aretino; – purtroppo, bisogna fare i conti con la realtà: per avere quelle sensazioni di vittoria, dietro c’è un lavoro di sofferenza veramente importante. Quando inizi ad accusare quel lavoro e non tieni più il ritmo per i dolori, per i pochi stimoli o semplicemente perché sei circondato da ragazzi con dieci anni di meno, ti fai due domande. Io me le sono fatte, anche a causa dello stop forzato di quasi un anno per la pandemia, che mi ha fatto riflettere e cercare nuovi stimoli per capire cosa fare da grande. Ho avuto la fortuna di iniziare un percorso di affiancamento ai tecnici del Centro Sportivo Carabinieri e ho trovato subito grande feeling con i ragazzi e con questo ruolo. Ho sempre pensato che essere buoni atleti non significa diventare per forza bravi tecnici, quantomeno però posso provare a impegnarmi, mettere in campo tutto quello che ho imparato e continuare a studiare per raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissato in questa nuova avventura